I tumori ginecologici: fattori di rischi e strategie diagnostiche

I tumori che colpiscono l’apparato genitale femminile rappresentano dal 10 al 15 % del totale delle neoplasie che interessano le donne. Queste forme tumorali riguardano i tumori dell’ovaio e i tumori dell’utero, più precisamente del collo e del corpo dell’utero. Nel corpo dell’utero il tessuto più interno, ricco di ghiandole e rivolto verso la cavità interna, è chiamato endometrio. In Italia l’incidenza di questa patologia è di circa 7600 nuovi casi per anno e la fascia di età più frequentemente interessata è quella oltre i 55 anni.
Molteplici sono i fattori di rischio per questo tumore; la storia riproduttiva, ovvero le situazioni di maggiore esposizione agli estrogeni endogeni, come il menarca in età precoce, la nulliparità, l’età tardiva della menopausa e i cicli mestruali anovulatori. Altri fattori di rischio sono il sovrappeso e l’obesità, l’uso della terapia ormonale sostitutiva in menopausa a base di soli estrogeni, mentre incerta sembra la correlazione tra abitudini alimentari, fumo e abuso di alcool. Il sintomo principale di questo tumore è il sanguinamento vaginale anomalo: perdite ematiche diverse dalle mestruazioni oppure perdite ematiche in menopausa.
Non pochi sono però i casi in cui la diagnosi viene posta in maniera casuale durante un controllo di routine tramite il riscontro, con una ecografia pelvica transvaginale, di anomalie dell’aspetto edometriale che richiedono successivamente ulteriori approfondimenti diagnostici. Infatti, nei casi in cui l’endometrio non mostri ecograficamente le caratteristiche idonee alla fase menopausale o alla fase del ciclo mestruale in cui la donna si trova, si rende necessario proseguire con accertamenti di II livello che comprendono la sonoisterografia e la isteroscopia, esame quest’ultimo che permette la diretta visualizzazione della cavità uterina e la possibilità di eseguire una biopsia del tessuto endometriale per il discernimento di patologia benigna (iperplasia, polipo) o maligna. Fondamentale è la stadiazione del tumore in fase preoperatoria, ed in questo esami come TAC o risonanza magnetica offrono un valido aiuto per distinguere i casi nei quali ci si limita ad una chirurgia poco estesa dai casi in cui l’escissione chirurgica interessa anche le stazioni linfonodali interessate. Nelle pazienti inoperabili o dopo il trattamento chirurgico, in casi selezionati, un importante impiego trova la radioterapia. Non esistono per questo tumore dei veri e propri programmi di screening, come ad esempio la mammografia per il cancro della mammella, ai quali le donne vengono invitate per sottoporvisi.
Molta importanza dovrebbe essere data alla prevenzione primaria, ovvero ad un corretto stile di vita, soprattutto in età perimenopausale – menopausale con il mantenimento di un giusto peso corporeo, per ovviare ad obesità e situazioni metaboliche riconosciute ormai come certi fattori di rischio. Il repentino consulto col proprio ginecologo in caso di sanguinamenti vaginali anomali permette l’esecuzione di esami appropriati per una diagnosi precoce. Il tumore dell’endometrio è un tumore con una buona prognosi: nello stadio I la sopravvivenza a 5 anni supera il 90%. Questo grazie alla precocità della diagnosi nella grande maggioranza dei casi ma anche perché in circa l’85% dei casi il tipo di tumore riscontrato è il tipo endometrioide che rispetto ai tipi non-endometrioidi mostra una minore aggressività.
Il tumore del collo dell’utero, cioè della porzione uterina che sporge in vagina, è molto diffuso nei Paesi sottosviluppati e in Italia è al quinto posto per incidenza, con 3400 nuovi casi per anno. La fascia di età più a rischio è quella compresa tra i 35 e i 55 anni. È ormai indiscusso che la condizione necessaria allo sviluppo del 99.7 % dei tumori della cervice uterina sia la presenza di una infezione persistente di alcuni ceppi di HPV (Human Papilloma Virus), un virus a trasmissione prevalentemente sessuale che si differenzia in tipi ad “alto rischio oncogeno” e tipi a “basso rischio oncogeno”.
Ulteriori fattori predisponenti che, associati al HPV, possono facilitare la trasformazione tumorale delle cellule della cervice uterina sono il precoce inizio dell’attività sessuale, il numero elevato di partners sessuali, il fumo, età molto giovane alla prima gravidanza, bassi livelli socio economici e ripetute infezioni del basso tratto vaginale, così come le patologie caratterizzate da deficit immunitari ad esempio l’infezione da HIV.
I sintomi di questo tumore sono aspecifici (perdite ematiche dopo il rapporto sessuale) e spesso tardive. La visita ginecologica con la sola valutazione macroscopica della cervice uterina non consente di fare diagnosi, tranne nei casi molto avanzati. Indispensabile per la diagnosi precoce e ancor più per la prevenzione di questo tumore è il Pap test, un semplice esame non invasivo e non doloroso che tramite il prelievo di cellule cervicali e la loro analisi microscopica permette di evidenziare la presenza di cellule anomale. È possibile inoltre valutare con questo esame anche quelle lesioni cellulari che precedono la trasformazione tumorale ed attuare in questo modo ulteriori percorsi diagnostico-terapeutici con esami di II livello come la colposcopia con biopsia mirata della lesione, l’HPV DNA test per la ricerca e la tipizzazione del virus e piccole escissioni chirurgiche. La stadiazione preoperatoria del tumore tramite tomografia computerizzata (TC), risonanza magnetica nucleare (RMN) o tomografia a emissione di positroni (PET) è indispensabile per poter offrire alla paziente il trattamento più adeguato.
La chirurgia spazia dai trattamenti minimi con laser alla asportazione dell’intero utero (isterectomia) e possibile estensione della chirurgica anche a ovaia e linfonodi. Radioterapia, brachiterapia e chemioterapia possono essere associate al trattamento chirurgico. Nella sfera dei tumori che interessano l’apparato genitale femminile, in Italia il tumore dell’ovaio colpisce circa 4.500 donne ogni anno. Diversi sono gli istotipi di tumore ovarico: i tumori delle cellule germinali, rari nelle loro forme maligne e tipicamente riscontrati nelle età giovanili, i tumori delle cellule stromali (8% dei tumori ovarici) e nel 75% dei casi i tumori epiteliali, ovvero a partenza dal tessuto di rivestimento dell’ovaio.
Infine, in alcuni casi l’ovaio può essere sede di metastasi, più frequentemente a partenza dalla mammella, dall’endometrio e dal colon. Anche per questo tumore, come per quello endometriale, è difficile trovare un unico e fondamentale fattore di rischio. La storia riproduttiva sembra essere importante: donne nullipare, con età del menarca precoce e menopausa tardiva, donne sottoposte a ripetuti cicli di stimolazione ovarica per indurre l’ovulazione e donne con una storia di familiarità di cancro ovarico sembrerebbero essere più a rischio.
Al contrario l’uso prolungato della pillola contraccettiva, con il suo meccanismo di inibizione dell’ovulazione, è considerato un fattore protettivo. Dati incerti riguardano il peso corporeo, la dieta e l’allattamento al seno. Data la posizione dell’ovaio all’interno della pelvi e la comparsa tardiva di sintomi aspecifici (astenia, calo di peso, dolenzia e gonfiore addominale, sintomi digestivi), spesso la diagnosi di cancro ovarico viene fatta in epoca tardiva, ovvero dopo il I stadio di sviluppo, quando la massa ovarica è di dimensioni notevoli e spesso la patologia è già estesa agli organi vicini. Questo purtroppo è un importante fattore che rende la prognosi sfavorevole, associato alla maggiore o minore aggressività dell’istotipo e all’età della paziente. La diagnosi iniziale viene posta tramite la visita ginecologica e il fondamentale ausilio della ecografia transvaginale e transaddominale che permettono di localizzare la massa, distinguerla da tumefazione uterine come i miomi e fare una buona analisi delle caratteristiche ecografiche che orientano in tal modo il ginecologo verso una tumefazione benigna o maligna o border-line. Successivamente TAC, RMN e PET meglio definiscono l’estensione della malattia e consentono di programmare l’iter terapeutico, chirurgico, chemioterapico, chemioterapico intraperitoneale e radioterapico della singola paziente.
Riguardo il dosaggio ematico dei marcatori tumorali ci sono pareri contrastanti, infatti la presenza di eventuali falsi positivi e falsi negativi ne rende l’utilizzo di dubbia utilità. Essi vengono attualmente impiegati nel follow up post operatorio. Purtroppo non è possibile eseguire uno screening del cancro ovarico, proprio per la rapidità con cui questa patologia si diffonde (alcuni mesi) tuttavia è consigliabile una visita ginecologica annuale associata alla ecografia pelvica transvaginale soprattutto in menopausa.
Dia Radico – Specialista in Ginecologia
Istituto Ramazzini – Poliambulatorio di Prevenzione Oncologica